La transizione

Per una che si è sempre ispirata alla lentezza come modus vivendi le bufere ripetute costituiscono un serio motivo di sconvolgimento emotivo.
Forse a volte la vita ha bisogno di accelerazioni improvvise per ristabilire un ordine altrove, sto infilando il piede nella teoria dell’effetto farfalla? Può darsi. Sta di fatto che accelera, ti toglie lo spazio, ti toglie le parole, ti toglie il sorriso, ti toglie la tua piccola struttra di passaggi consequenziali. No, non parlo di abitudine. Parlo di amore. Quello docile del sempre, dell’appartenenza, delle coalizioni, delle origini. Origini, dove e quando inizi. Intendo questo.

É una questione di spazio, poi di tempo. Altre storie prendono il tuo e in un attimo non sei nemmeno esistito. Il passato é anche lo spazio che gli altri si prendono.

Facciamo finta che ci sia stato un incendio, un terremoto. Ho seguito queste istruzioni insieme ai silenzi saggi di certi attimi.
Il punto è cosa succede nella parentesi sospesa del post eventum? In quel tempo di transizione tra ciò che sei stato e ciò che sarà?
Tutti dicono di non avere fretta. Una lumaca non ne avrà mai però si guarda davanti e si scoraggia per la strada da fare, voltandosi indietro, ci scommetto.

Ricominciare in qualche modo. Affidandosi, forse per la prima volta con un bisogno vitale più estremo di sempre, all’amicizia. Quella di chi riesce ad esserci con il bene di uno sguardo, di un braccio afferrato con dolcezza una sera al Vomero, di una confidenza sussurrata all’orecchio, della fiducia quando nemmeno tu ne hai.

Sono rimasta quella che credeva, a 6 anni, che una chiave d’argento piccolina prima o poi avrebbe aperto una porticina d’altrove bellissimo. Con la differenza che mi porto in tasca un bel po’ di delusioni.

Il sole cade in un arancio elettrico sulla linea dell’orizzonte. Cadere ci somilgia.

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